E dopo koala e canguri bagno di folla con i giovani

nostro inviato a SydneyLa fotografia è un’immagine biblica: Benedetto XVI, il Papa, il vicario di Cristo, accanto al serpente, il simbolo del diavolo, del potere del male. L’ultima giornata di riposo del pontefice nella residenza dell’Opus Dei a Richmond, nel sobborgo semirurale di Sydney, si conclude con l’incontro tra il Papa e le specie animali tipiche dell’Australia, un ambiente naturale eccezionale. Così, proveniente dal Taronga zoo di Sydney, Ratzinger ha potuto accarezzare un piccolo canguro, si è avvicinato a un piccolo coccodrillo d’acqua, ha visto un ekidna, un opossum, un pitone e un koala. Aveva fatto il giro del mondo, nel primo viaggio di Giovanni Paolo II, la foto del pontefice sorridente con in braccio un koala. Anche a Benedetto XVI è stato offerto di prendere in braccio l’animale, ma il Papa ha simpaticamente rifiutato l’offerta, limitandosi ad accarezzarlo dicendo: «È più sicuro tra le braccia del suo custode». Nel momento della foto ricordo finale, con gli addetti dello zoo, e gli animali, Benedetto XVI è capitato accanto al giovane che teneva il pitone, il quale si è avvicinato al pontefice sguainando la lingua biforcuta, senza che Ratzinger si scomponesse.Nel pomeriggio di ieri il Papa è arrivato in città dopo aver lasciato la residenza, alla quale ha donato un mosaico riproducente la Madonna madre della Chiesa che sta incastonata, per volere di Wojtyla dopo l’attentato, sull’angolo del palazzo apostolico che si affaccia su piazza San Pietro.

Fonte: http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=276592

Il massacro dei Romanov:

Si potrebbe obiettare che rispetto all’evento in sé fu una vicenda minore, che in fondo riguardò un pugno di persone rispetto alle grandi masse che di quella rivoluzione furono in vario modo protagoniste. È in quest’ottica, del resto, che nei tre volumi di E. H. Carr a essa dedicati, un classico della storiografia anni Cinquanta, la vicenda è liquidata in poco meno di una frase…

Eppure, se non ci si fa abbacinare dalle dimensioni e si sa leggere nel profondo delle decisioni, c’è in quella condanna a morte più simile a una strage mafiosa che a un’esecuzione politica, la chiave di volta per capire cosa sia stato il «terrore» inteso in senso pratico e ideologico.
La liceità del terrore non è qualcosa che si assume a cuor leggero e i primi a saperlo furono proprio quelli che la attuarono. Non ci si deve accontentare della spiegazione che, a posteriori, ne diede un rivoluzionario di professione come Trockij: «La decisione non fu soltanto opportuna, ma necessaria. La durezza di questa giustizia sommaria mostrò a tutto il mondo che eravamo decisi a combattere senza pietà, non guardando in faccia a nessuno». Fosse stato davvero così, fosse stata un’esecuzione per terrorizzare il nemico e rinsaldare le proprie file, Lenin e i suoi l’avrebbero rivendicata sin dall’inizio, gridata ai quattro venti, e non nascosta, negata e/o minimizzata come a lungo fecero.

Fonte: http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=276612